I genitori ansiosi che spesso hanno vissuto male la gravidanza, la fine di questa e la nascita del bambino non significano la fine delle ansie ma l’inizio di nuove e più pesanti preoccupazioni. Per una madre ansiosa basta poco per perdere il controllo e la lucidità mentale.
Per i genitori ansiosi è già un grosso motivo di preoccupazione il peso alla nascita: troppo scarso o eccessivo.
“Chiaramente, e in particolare per la madre, questo peso alla nascita entra immediatamente nel campo delle preoccupazioni consce, ma anche in quelle preconsce e inconsce, visto che rimanda direttamente alla sua capacità o incapacità, di mettere al mondo un bel bambino. Avere un bebè che pesa poco costituisce in un certo senso una ferita narcisistica che può comportare preoccupazioni esagerate riguardo alle capacità del piccolo di mangiare, e quindi di raggiungere un peso ritenuto più soddisfacente”[9].
Quando la madre nota una pur minima alterazione o variazione nel figlio che si allontana da tutto ciò che considera “normale”, viene assalita da dubbi, perplessità e tensione interiore. “Come si fa a non preoccuparsi se il bambino oggi non ha mangiato sufficientemente?” O al contrario: “Cosa bisogna fare per limitare la sua fame irrefrenabile che gli provoca degli indigesti, per cui poi piange perché ha male al pancino?” “Come non preoccuparsi se il bambino ha vomitato il latte che aveva poco prima succhiato con foga?” “È possibile assistere impotenti quando la bilancia segnala inesorabilmente che il bimbo non cresce come dovrebbe, o cresce troppo rispetto alla media?” “Come puoi rimanere tranquilla quando il bambino si sveglia spesso la notte?”
Ogni piccola variazione notata nel corpo o nell’atteggiamento del figlio, o peggio la presenza di sintomi che possono far sospettare una patologia, sollecita la madre ad interventi nei quali sono coinvolti il marito, i genitori, i parenti, gli amici e, naturalmente, i medici specialisti e non. Tutti sono mobilitati ad ascoltare i suoi dubbi e le sue perplessità. Allo stesso modo tutti sono stimolati a proporre il farmaco o l’intervento risolutore. In questi casi, se le persone coinvolte riescono in qualche modo a controllare l’ansia della madre e a indirizzarla correttamente, l’impatto negativo sul bambino sarà modesto; al contrario, se anche loro, o perché coinvolti dalle preoccupazioni materne o perché a loro volta ansiosi, si lasciano travolgere dal panico, il carico d’ansia si moltiplicherà ed investirà pesantemente il bambino con risvolti, più o meno gravi, sul suo benessere interiore.
In queste situazioni si manifestano nel piccolo i primi sintomi di sofferenza, che vanno dal piangere “come un disperato”, alla irrequietezza motoria, al rifiuto di attaccarsi al seno, ad alterazioni della flora intestinale per cui evacua delle feci anormali per consistenza e colore. A questi sintomi si possono associare anche i disturbi del sonno, sia in senso quantitativo che qualitativo. Il bambino non riesce a prendere sonno, piange, si agita e poi, quando dopo aver a lungo strillato finalmente sembra essersi addormentato, non è raro che presenti dei risvegli improvvisi, seguiti da ulteriori scoppi di pianto difficilmente consolabile.
Se poi i genitori ansiosi già dormono anche male e poco, il doversi svegliare per allattare, consolare, cullare, massaggiare il piccolo, accentua la loro tensione, per cui la mattina lo sguardo che lanciano al figlio somiglia molto a quello con il quale i primi cristiani guardavano le belve del Colosseo che fuoriuscivano dalle gabbie: “Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?” “Dove e come poter sfuggire a queste continue angosce?”
È facile a questo punto che la madre e a volte entrambi i genitori, comincino a vivere male il rapporto con il loro figlio, avvertito come fonte non di gioie e gratificazioni ma di continue preoccupazioni, impegni e sofferenze. Se, inizialmente, il bambino era l’essere indifeso al quale capitavano sgradevoli esperienze, successivamente rischia di diventare lui la causa di esperienze negative nei confronti dei genitori. Tutto ciò spesso provoca nel bambino un’accentuazione dei suoi disturbi e dei suoi comportamenti, che rischiano di peggiorare il già precario rapporto con mamma e papà.
Queste dinamiche tendono a peggiorare quando entrambi i genitori sono impegnati in un’attività lavorativa. Conciliare gli impegni e le preoccupazioni genitoriali con i carichi di lavoro, in una situazione di prostrazione fisica e di stress psicologico dovuti anche alla mancanza di un buon sonno ristoratore, li rende ancora più nervosi, stanchi, sfiduciati e, in alcuni casi, anche facilmente irritabili, se non chiaramente aggressivi.
Tale aggressività spesso è orientata verso l’altro coniuge, accusato di non capire o di non impegnarsi adeguatamente, per cui a causa delle reciproche accuse sul modo di gestire il figlioletto, anche il rapporto di coppia può subire delle conseguenze negative. D’altra parte il piccolo avrà difficoltà a vivere bene il rapporto con gli altri esseri umani ed il mondo circostante, in quanto avvertirà sempre di più attorno a sé un’atmosfera carica di tensione e irritazione.
Poiché un bambino piccolo non è in grado di attivarsi per tranquillizzare o rendere sereni dei genitori ansiosi, l’unica modalità che si può usare per diminuire l’ansia del bambino è quella di essere meno ansiosi anche mediante l’aiuto di una buona psicoterapia o utilizzando degli psicofarmaci.
I problemi legati all’alimentazione, alle malattie e al sonno
Nell’ambiente ansioso, quando il bambino è stato svezzato, alcuni problemi, come quello dell’alimentazione e del sonno permangono, mentre altri se ne possono aggiungere. Per quanto riguarda l’alimentazione, dopo l’allattamento i problemi più frequenti riguardano lo scarso appetito del bambino o una nutrizione non corretta con conseguente modesto aumento di peso e/o di altezza. Tensione e relativi scontri nascono quando il bambino non effettua quella che per i genitori o il pediatra dovrebbe essere una corretta dieta. “Mio figlio non mangia mai carne, frutta e verdure”. “Mio figlio si alimenta solo a merendine e patatine”. “Non sopporto che Giovanni non mangi a tavola agli orari stabiliti ma si nutra con delle porcherie fuori dei pasti”. Spesso inizia una lotta senza quartiere tra i genitori ed il figlio. La parola più frequente, nei dialoghi, all’ora di pranzo, è: “Mangia!”. Le frasi più frequenti sono: “Se non mangi non cresci, non diventi grande”; “Se non mangi muori”; “Non è possibile che mangi così poco”. Queste frasi e questi incitamenti spesso ottengono l’effetto opposto in quanto, se il bambino già affetto da conflitti o problematiche psicologiche non ama crescere, ma vuole rimanere in fase infantile, i genitori gli danno la soluzione: “Non deve mangiare.” Se il bambino vuole far soffrire, punire e nel contempo imporre la propria volontà a dei genitori tiranni che non ama, basta che rifiuti il cibo. Alcuni genitori, pur di ottenere quanto desiderato, tra un boccone e l’altro, gli permettono qualunque cosa: giocare, correre e scorrazzare per la casa, vedere la Tv.
Permangono anche le ansie per la sua salute. Spesso si innesta un circolo vizioso: essendo stressato, è più magro e gracile e ciò lo fa ammalare più frequentemente. Ma più si ammala, più i suoi genitori si mettono in allarme per il suo benessere, per cui sarà sottoposto a nuove visite mediche, ad accertamenti e a cure anche dolorose, con notevole aggravio di insopportabili stress per lui e per tutta la famiglia.
Accanto al problema del cibo e delle malattie, può permanere il problema del sonno. Questo disturbo costringe i genitori ad estenuanti ore trascorse nel cercare di fare addormentare il loro figlioletto. Spesso non basta leggergli libri di favole affinché Morfeo faccia il suo dovere, ma è necessario tenere la mano del bambino e lasciare la luce o anche il televisore accesi tutta la notte. Ma se l’inquietudine e le paure sono tante, non saranno sufficienti neanche questi stratagemmi; sarà necessario farlo dormire nel lettone, dividendosi: il papà sul divano, mamma e figlio nel lettone o viceversa.
I genitori ansiosi e la vivacità dei bambini
Quando il bambino comincia a gattonare o camminare, i contrasti con le persone ansiose aumentano, in quanto queste, per sentirsi tranquille, cercano in tutti modi di limitare la libertà nei movimenti, negli spostamenti e nelle esplorazioni dei bambini a loro affidati.
La persona ansiosa si mette in allarme già quando il piccolo comincia a gattonare, andando da una parte all’altra della casa. Per cui è quasi impossibile controllarlo nel suo desiderio di scoprire e sperimentare oggetti e materiali nuovi. Il genitore, il familiare o l’educatore ansioso si chiederà continuamente: “Cosa farà?” “Cosa toccherà?” “Cosa metterà in bocca?” “Cosa distruggerà?” “Con che cosa si farà male?” “A chi farà del male?”
Nella fase della scoperta del mondo che lo circonda, mentre il bambino si lancia per la casa aprendo tutti i cassetti, buttando in aria o a terra il loro contenuto con fredda e rapida determinazione, mettendo poi tutto in bocca per conoscere meglio tutto ciò che lo circonda, il piccolo è visto come un “Terminator “pronto a distruggere ogni cosa presente nella casa o a cercare qualcosa per farsi del male. Basta che egli si avvicini, interessato, al prezioso vaso regalato dalla zia Anna il giorno del matrimonio, perché la mente del genitore ansioso veda il vaso già ridotto in mille pezzi o peggio, lo stesso vaso, lo immagina cadere sulla testolina del suo tesoro, così da ferirlo gravemente.
Se in giro per la casa vi è una sorellina più piccola, è facile che la persona ansiosa veda la piccola sottoposta a mille torture da parte del fratellino geloso e aggressivo. Se poi il piccolo Attila si avvicina ad un rubinetto, per i genitori ansiosi è scontato che lo aprirà, allagando così tutta la casa, provocando dei danni ai preziosi tappeti e all’appartamento dei signori del piano sottostante. Se egli gioca in un angolo con qualche compagnetto, le previsioni sono che ben presto sulla testa di quest’ultimo calerà come una clava la piccola chitarra avuta in regalo per Natale.
Non sempre il figlio viene visto come un carnefice. In altre occasioni egli assume il ruolo di vittima sacrificale, mentre sono gli altri bambini i suoi torturatori, pronti a farlo ruzzolare per terra, a rubargli quanto gli appartiene, a scacciarlo dalla loro compagnia o ad utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione per farlo piangere e disperare.
Tali paure costringono questi genitori a seguire il bambino, o meglio ad inseguirlo, in ogni suo spostamento, costringendolo a lasciare “con le buone o con le cattive”, le cose o gli strumenti considerati pericolosi o preziosi.
Questo comportamento molto limitante accentuerà la collera e l’instabilità del piccolo, che si sentirà prigioniero tra le mura domestiche, con la conseguenza che aumenteranno i suoi sentimenti di rancore, se non di odio verso i genitori, mentre nel contempo diminuirà la stima di sé, in quanto si vedrà come “un bambino monello e cattivo che fa continuamente disperare mamma e papà”.
Se poi i genitori ansiosi attueranno la strategia di togliere dalla portata del piccolo, tutto ciò che potrebbe rompersi o tutti gli oggetti con i quali potrebbe ferirsi e farsi del male, la casa somiglierà più al deserto libico che non ad un luogo nel quale vivere insieme con piacere e gioia. Resteranno nell’abitazione solo i giocattoli “sicuri”. In realtà resteranno solo giocattoli di un unico materiale: la noiosa, banale plastica, che il bambino conosce benissimo, che è stufo di maneggiare e che odia, proprio per le sue caratteristiche di inalterabilità.
I rapporti dei genitori ansiosi con gli altri adulti
Dai genitori ansiosi giudizi poco lusinghieri sono riservati agli altri adulti ed educatori. L’altro, il marito o la moglie, è sicuramente incapace di controllare adeguatamente i movimenti del pargolo “indiavolato”, così da non lasciargli correre alcun pericolo o da non fargli rompere oggetti preziosi. Poca fiducia è riposta soprattutto nei nonni che, “per la loro età, non sono sicuramente in grado di badare al nipotino”. Scarsamente apprezzati se non notevolmente incolpati sono anche gli insegnanti ed i medici, giudicati spesso come persone che non sanno capire, aiutare, sostenere, giudicare e così via.
I genitori ansiosi ed i bambini di tre – quattro anni
Verso i tre - quattro anni, ad un’età nella quale il bambino potrebbe e dovrebbe giocare, correre e scorrazzare liberamente fuori casa con i suoi coetanei, le preoccupazioni si accentuano.
Già farlo uscire dalle mura domestiche diventa un problema di difficile soluzione, in quanto è necessario il concorso di molti elementi. Lui o lei che dovrebbe accompagnarlo deve sentirsi bene, pertanto non deve aver traccia di “quell’orribile mal di testa” che spesso l’opprime. Anche il bambino deve stare bene e quindi non deve aver avuto un colpo di tosse da almeno una settimana. Mentre il suo nasino deve essere asciutto e libero ed i suoi occhietti devono essere vispi e splendenti come non mai.
Altre condizioni riguardano il tempo atmosferico. Non vi deve essere troppo caldo, per evitare che il bambino sudi o peggio, rischi di subire un’insolazione. Non vi deve essere troppo freddo, né deve aleggiare un alito di vento, perché questo potrebbe portare con sé pollini, polvere ed “altre porcherie” pericolose per i polmoni del piccolo. Naturalmente non deve piovere o nevicare: “Solo un pazzo farebbe uscire il proprio figlio in queste condizioni climatiche!”
Ma anche la ricerca dei luoghi dove farlo giocare è ardua. Il cortile sotto casa è “pericoloso”, in quanto possono entrare delle auto ed è di libero accesso a bambini “sconosciuti e figli di chissà chi”. Nelle strade il piccolo rischia di essere investito da un’auto o da una moto. I soli luoghi accettabili, se non vi è assolutamente pericolo che siano frequentati da drogati e pedofili, sono le villette o i giardinetti del quartiere; che sono poi i soli posti nei quali, in epoca di scarsa natalità, è possibile trovare altri coetanei con i quali far svagare e socializzare il piccolo. Ma per praticare questi luoghi è necessario superare vari problemi: innanzitutto bisogna avere l’auto e poi provvedere al corretto vestiario del bambino. Se è molto coperto sicuramente “suderà e poi si ammalerà”. Se lo si veste leggero “c’è il rischio che si buschi una polmonite”.
È necessario, allora, provare mille vestitini prima di sceglierne uno adatto. Questa operazione, avvertita dai bambini come una lunga, estenuante, inutile tortura, inevitabilmente provocherà conflitti e scontri con il figlio. Quando poi, finalmente, è là che gioca nella villetta comunale con dei coetanei, appena si immagina possa aver sudato, la madre ansiosa è già pronta a togliergli qualche indumento sostituendolo con uno più leggero e asciutto oppure è svelta ad inseguirlo per mettere un po’ di borotalco sulle spalle sudate. Non mancano poi i rimbrotti ed i suggerimenti: “Non giocare con la terra: è sporca”; “Non salire sull’altalena: potresti cadere”; “Non giocare con quei legnetti, perché potresti farti male”; “Non raccogliere e buttare le pietre, potresti colpire gli altri bambini”; “Non correre, perché sudi” e così via. Spesso questi genitori, spossati dalla loro ansia, hanno degli atteggiamenti e dei comportamenti altalenanti e ambivalenti che rendono insicuro il bambino a loro affidato.
Nella nostra epoca, nella quale gli apparecchi della tv sono più d’uno, e addirittura in certe case sono distribuiti in tutte le stanze come fossero dei quadri, i genitori ansiosi, come soluzione ai loro problemi, trovano quella di arricchire la cameretta del bambino con tutti i migliori prodotti di intrattenimento: videogiochi, computer e televisore a grande schermo, con la speranza che se ne stia là buono per il maggior tempo possibile, senza correre alcun rischio.
Nel periodo scolastico l’ansia si concentra soprattutto sulla scuola e sui compiti. I colloqui con le maestre sono quasi giornalieri per sapere come si sta inserendo il suo ometto e se apprende regolarmente e velocemente. Basta una parolina di critica in più da parte delle insegnanti, sia per quanto riguarda il profitto sia per il comportamento, per spingere la persona ansiosa ad aumentare le ore di studio ma anche i rimproveri e le punizioni verso il figlio.
Accanto ai genitori ansiosi vi possono essere anche dei nonni, altri familiari o anche insegnanti portatori d’ansia. Anche in questo caso i comportamenti, le parole, gli atteggiamenti che tutte queste persone assumono nella relazione con il bambino possono essere causa di eccessivo stress. Stress che ha sicuramente un effetto nocivo, anche se minore, rispetto all’atteggiamento ansioso manifestato dai genitori.
Quando i familiari lamentano attacchi di panico la sofferenza è trasmessa al bambino a motivo dell’angoscia direttamente vissuta ed espressa dal genitore ma anche a causa delle limitazioni ai quali quest’ultimo costringe se stesso e anche i figli.
Nelle somatizzazioni ansiose tutta la famiglia, ma soprattutto i piccoli, soffrono, in quanto avvertono attorno a loro la tristezza ed il dolore vissuto dal genitore. Questa tristezza si irradia anche a loro, sia direttamente sia indirettamente, come paura di una possibile grave malattia che li priverebbe del papà o della mamma.
Una bambina “indiavolata”
Nonostante durante la nostra attività professionale abbiamo direttamente conosciuto migliaia di madri ansiose, la più grave in assoluto ci è sembrata Francesca.
Questa madre aveva accompagnato insieme alla nonna la figlia, per la solita seduta di psicoterapia. Per tutta un’ora Luisa, una bambina alla quale era stata diagnosticata una grave forma di autismo, si era mostrata serena, distesa e anche, a modo suo, collaborante e vicina al terapeuta. Libera di muoversi nella stanza, libera di scegliere il gioco o i giochi che preferiva, libera di cercare o non il contatto con il terapeuta, libera di interromperlo in qualunque momento, mi aveva accettato in un gioco che lei stessa aveva inventato, manifestando un parziale, iniziale, ma prezioso contatto e legame. Finita la seduta, soddisfatto di come si era svolta, per la fiducia che la bambina aveva manifestato nei miei riguardi e quindi verso il mondo che in quel momento io rappresentavo, l’ho riconsegnata alla madre e alla nonna dicendo che avevamo giocato tranquillamente e che la bambina era stata serena per tutta l’ora. La madre, una giovane e colta donna, l’ha guardata, come cercando nella figlia qualcosa che si aspettava dovesse manifestare e poi, prendendola in braccio, con un’espressione del viso, con un tono della voce, e con il corpo da cui sprizzava angoscia, ha iniziato a dire con voce stridula e concitata: “Ma che dice, dottore? Ma la guardi! Le sembra una bambina serena questa? Non vede come mi guarda? Non vede quanta tensione c’è nei suoi occhi? E poi questo viso tutto rosso che significa? E le braccia e le gambe, non vede come vorrebbe scappare via da me?” Mentre la madre finiva per gridare sempre più forte, anche la bambina, di contro, modificava il suo atteggiamento: si era fatta più tesa e spaventata, aveva allontanato lo sguardo dalla madre mentre la spingeva con le braccia e le dava calci con le gambe ed i piedi, fino a quando, pur di divincolarsi da lei, si lanciò con la testa ed il corpo all’indietro come cercasse di scappare da quelle braccia. E la madre ancora: “Vede com’è, dottore? Vede come fa? È terribile. È terribile questa bambina. Io non ce la faccio più”. Mentre tra la madre e la figlia era in corso come una lotta furibonda, anche la nonna cominciò a gridare: “Ferma, ferma, Luisa, dobbiamo andare via, ferma!” Intanto cercava di metterle a forza, ma inutilmente, il cappottino, prendendole ora l’uno ora l’altro braccino che la bambina, in piena crisi nervosa, divincolava e scuoteva. E ancora la nonna, sempre più rossa in viso gridava: “È un diavolo questa! Questa non è una bambina!”
Da quel giorno non ho più rivisto Luisa. Ho saputo di lei dopo circa due mesi, quando una pedagogista del centro mi telefonò dicendomi che era stata invitata ad una seduta di esorcismo su una bambina. La bambina in questione era lei, era la piccola Luisa.
Come commentare questo caso se non che l’ansia impedisce la comunione serena con gli altri. L’ansia si autoalimenta. L’ansia si trasmette agli altri. L’ansia incontrollata deforma la realtà. L’ansia impedisce di percorrere le strade più utili e più opportune e costringe a scegliere degli interventi non solo assolutamente inadeguati ma gravemente controproducenti.
Gli ultimi saluti
Un’altra madre ansiosa, oltre che invadente, fu la protagonista di una situazione tragicomica raccontatami dal marito, nonostante le gomitate e le occhiatacce della moglie.
Si trattava di uno dei primi episodi nei quali dovettero subire, come coppia, le “persecuzioni” della suocera.
“Ci eravamo sposati la mattina e lei può immaginare la stanchezza e la fatica che si avverte in queste circostanze, dopo tutte le cose da preparare: la cerimonia, il lunghissimo pranzo di nozze con centoventi invitati da salutare, baciare, intrattenere, trovando per tutti, non si sa con quali energie, una parola gentile e affettuosa. Finalmente tutto sembrava finito. Mia suocera e suo figlio ci avevano voluto accompagnare alla stazione per prendere il treno e così iniziare il nostro breve ma, sognavamo, meraviglioso viaggio di nozze. Scendendo dall’auto avevamo tentato di salutare in fretta i nostri affettuosi accompagnatori, ma fu un tentativo infruttuoso. Con un “Ma noi vi accompagniamo fino al treno”, erano già dietro di noi. Dopo aver aspettato una buona mezzora nella sala d’aspetto e aver ascoltato, così, per la decima volta, tutte le raccomandazioni della mammina, l’annunciatrice diffuse, con la sua solita voce anonima, il prossimo arrivo del treno. Questo annuncio, sia da me che dalla mia giovane mogliettina, fu avvertito come l’avviso di una prossima liberazione. Tenendoci per mano e correndo, con la scusa di salire in tempo sullo scompartimento giusto, pensavamo di aver seminato tutto il parentado e soprattutto la suocera che, grassottella com’era, non ci avrebbe mai potuto raggiungere. Per capire il nostro stato d’animo, dottore, lei deve pensare che era la prima volta che prendevamo un vagone letto, ma era anche la prima volta che potevamo stare insieme da soli, in quanto, per tutti gli anni del fidanzamento, nonostante mia suocera dicesse di fidarsi totalmente di me, chissà come, era sempre ed in ogni luogo presente quando io e la figlia eravamo insieme. Per cui, tranne qualche bacetto di sfuggita non c’era stato niente, ma proprio niente, lei mi capisce, dottore! Salendo i gradini dello scompartimento del vagone letto di prima classe, quasi avevamo voglia di abbracciare il conduttore che ci chiedeva i documenti e urlare: “Finalmente soli!” Ma non era così. Avevamo appena iniziato a sistemare le valigie che sentiamo gridare il mio nome e quello di mia moglie. Era mio cognato che con la sua voce baritonale ci cercava, come fosse l’ultima cosa che dovesse fare prima di spirare, mentre la madre, nonostante la mole, arrancava veloce, rossa in viso per l’affanno e per l’ansia di non ritrovarci in tempo per darci gli ultimi saluti. Non so per quale motivo, ma quel benedetto treno che era arrivato sferragliando veloce alla stazione sembrava essersi bloccato là su quei binari, come volesse trascorrere la notte nella stazione. Ogni tanto sfiatava, ogni tanto aveva come un tremito, ma non si muoveva di un solo millimetro. Mi sembrava come quei cavalli che, finalmente, la sera, arrivano nella stalla e si mettono a mangiare nella mangiatoia godendosi ogni filo d’erba, ignari di tutto e di tutti. Dopo un po’ di attesa affacciati al finestrino, ci è sembrato giusto scendere per gli ultimi saluti, per poi risalire veloci, non si sa mai il treno dovesse partire! Ma quel mucchio di ferrame non voleva saperne di spostarsi, pertanto, dopo un po’ anche loro si sono sentiti in dovere di salire per gli ultimi baci. E così più volte. O erano loro a salire o eravamo noi a scendere: per prendere la busta con i soldi dei regali…“Che vi possono essere utili se dovete fare qualche spesa in più” o perché la madre si era accorta che sul vestito nuovo della figlia un bottone penzolava e per evitare il rischio di perderlo era meglio attaccarlo subito, con l’ago di emergenza che portava sempre con sé, mentre il treno era là fermo, immobile, tanto che sembrava saldato ai binari. Finalmente vedo il berretto rosso del capostazione, con la magica paletta. Finalmente il fischio prolungato del treno che si muove. Inutile dire come ci sentivamo: spossati per tutta quella giornata convulsa e poi per quella infinita attesa prima della partenza. Ci sediamo uno accanto all’altra, lei con il vestito rosso fiammante, elegante ma da viaggio; io con la stessa giacca e cravatta del matrimonio, perché mi era sembrato inutile perdere tempo per cambiarmi. Era bello guardare il nostro set di valigie nuovissime affacciarsi dal portapacchi. Ma era ancora più bello vedere la mia giovanissima sposina che aveva allungato una mano per stringere la mia. Intanto si era fatta notte e ci è sembrato giusto, a questo punto, metterci il pigiama e approfittare delle piccole comodità offerte dal vagone letto. Avevamo appena messo mano ai pigiami nuovissimi di mussola, comprati apposta per questa occasione, che sentiamo gridare fuori del corridoio i nostri nomi e poi battere furiosamente alla porta del nostro scompartimento. Non potevamo fare altro che aprire per capire cos’era successo. Dietro la porta, nello stretto corridoio vi erano gli altri viaggiatori che ci indicavano di guardare fuori dal treno, di nuovo fermo, ma in un’altra stazione. Fuori, come per magia, vi erano ancora suocera e figlio, desiderosi e felici di poterci salutare una volta di più! Avevamo dimenticato di essere a Messina e che tra la stazione centrale, dove eravamo saliti e quella marittima vi sono poche centinaia di metri, e questa distanza non rappresentava certo un ostacolo per una madre in ansia per la figlia che iniziava una nuova vita con l’uomo amato!”
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -(Volume unico)
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