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Stress evolutivo o evoluzione autistica?

17-04-2023 17:29

Roberto Carlo Russo

AUTISM, autismo, stressevolutivo,

Stress evolutivo o evoluzione autistica?

Lo Stres Evolutivo può cvomportare un comportamento facilmente rapportabile ad una sintomatologia di tipo autistica.

Stress evolutivo o evoluzione autistica?

 

L’obiettivo di questa relazione è evidenziare il tipo di comportamento specifico per una situazione di grave difficoltà a reperire un inter di progressione evolutiva nei primi due anni di vita. 
La risposta comportamentale è il fenomeno che ho chiamato Stress Evolutivo.

      Per Stress Evolutivo intendo uno stress psico-fisico di varia origine (ricoveri prolungati, cambio della struttura familiare, alterazioni o carenze funzionali di competenze neurologiche, carenze affettive, maltrattamenti, abusi, abbandoni, uso precoce e prolungato per ore di tablet-cellulari-TV) che determina nel bambino, specie nella fascia di 12-30 mesi, una modalità caratteristica sostenuta da uno stato confusivo d’incapacità d’indirizzo evolutivo sia nella relazione che nella sperimentazione cognitiva.

      In tali situazioni il bambino si trova nella difficoltà di scegliere il percorso evolutivo, assume un comportamento con sintomi che richiamano le caratteristiche di tipo autistico. In queste difficoltà di sviluppo ho identificato lo Stress Evolutivo, inteso come uno stato confusivo e di sconcerto per l’incapacità di reperire una via di sviluppo della propria carica evolutiva. Il bambino, rimanendo in attesa degli input evolutivi adeguati, attiva un comportamento che facilmente può essere rapportabile ad una sintomatologia di tipo autistica.

      Questo anomalo comportamento del bambino in stress evolutivo comunica all’ambiente il significato di allarme per una situazione limitante la normale progressione evolutiva. Nelle fasi iniziali queste manifestazioni caratterizzano la spontanea risposta biologica di allarme. 

      Il comportamento di questi casi è secondario ad un blocco o distorsione di alcuni processi fondanti per un sano sviluppo: attaccamento alla figura materna, separazione-individuazione, conquista della propria indipendenza, sperimentazione, accettazione di alcuni limiti, adattamento alla realtà nel suo duplice aspetto gratificante-frustrante, socializzazione. Il bambino non riesce, o lo fa in modo incompleto o alterato, a rapportare le acquisizioni del processo neuromaturativo alle stimolazioni ambientali, con la conseguenza di una mancata unicità tra le proprie potenzialità.

      Questo periodo di iniziale distacco dalla realtà dovrebbe essere considerato come una fase di disagio parziale, momentaneo e risolvibile, pertanto non diagnosticabile come sindrome autistica strutturata. Questa sintomatologia iniziale può essere considerata una risposta biologica conseguente alla gravità della difficoltà evolutiva.

      Il disturbo evolutivo può essere inteso come una porta che si apre o si chiude alla realtà, in rapporto alla disponibilità recettiva dell’ambiente ai suoi reali bisogni anche se anormali.

Il comportamento può essere definito come un disturbo

o carenza della comunicazione con la realtà

      Il momento di "rottura" o di "distorsione" della relazione con l'ambiente può verificarsi ad un dato livello evolutivo ed ivi strutturare il proprio nucleo patogenetico, oppure può essere costituito da diversi livelli evolutivi ognuno dei quali contribuisce a organizzare un complesso quadro sindromico dato dall’interazione con l’ambiente.           La problematica fondamentale e caratterizzante di queste forme cliniche è il grave o assente disturbo della comunicazione verbale e corporea. 

 

Eziopatogenesi

Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito a diversi e spesso contrapposti indirizzi nell'interpretazione eziologica delle psicosi infantili. A partire da Kanner sempre più numerosi autori hanno dato il loro contributo di studio, alcuni riconoscendo esclusivamente una genesi psicogenetica in un precoce alterato rapporto ambiente-bambino e in particolare madre-bambino (Bettelheim, Klein, Mahler, Winnicott); altri individuando le cause in una serie eterogenea di lesioni o disfunzioni neurologiche o alterazioni genetiche (Bergman, Goldstein, Damasio, Frith,); altri (Brazelton, Bender, Bower, Stern, Trevarthen, Tustin) sostengono cause miste spesso a partenza da una situazione disfunzionale che determini una impostazione organizzativa neurologica tale da favorire difficoltosi e alterati stimoli evolutivi da parte die modelli di riferimento.

      Diversi autori hanno riconosciuto l’importanza di approfondire la realtà dinamica del bambino all’interno della sua famiglia e della scuola; tra questi Michele Zappella (1996, pp. 74) “la mente umana ha bisogno per crescere di un’altra mente adulta che condivida i suoi significati, che dia a questi un senso” ha affrontato il mutismo elettivo e l’autismo negli anni 1970 con un approccio globale: bambino, famiglia e scuola.

      Russo R.C. (1984,1990,1997) ha segnalato nei dati anamnestici il significato condizionante dei modelli educativi e delle caratteristiche personali dei modelli sulla tipologia organizzativa e comportamentale del bambino.

      Bowlby (1988) sostiene che la maggior parte dei disturbi psichici dell’infanzia siano sostenuti da influenze ambientali e la relativa possibilità di modifiche.      

      La presenza di disturbi specifici di alcune neurofunzioni è stata sostenuta anche da Greenspan e Wieder (1997).

      Tribulato (2005) mette in evidenza la perdita di alcuni valori sociali e grandi modifiche nella struttura familiare e sociale negli ultimi 30 anni. Lo stesso autore (2020) rimarca la necessità di rivedere le modalità valutative per le sindromi autistiche.

      Baranek ed altri (2006), hanno menzionato la frequenza nell’autismo di due modelli sensoriali: ipo-reattività e iper-reattività, tali da coinvolgere le diverse sensibilità.

      Gordon I., Martin C., Feldman R. e Lechmenn J.F. (2011) hanno valorizzato l’attività di alcuni neuropeptidi (es. l’ossitocina) del complesso funzionale sistema limbico-corteccia orbito-frontale con funzione modulatrice della risposta agli stimoli di tipo sociale, con potenziale ingerenza nel rapporto socializzante tra il bambino e le altre persone.

      McKenzie e Dallos (2017) studiando bambini con disturbi dell’attaccamento hanno riscontrato sintomi in comune con l’autismo ed hanno sostenuto l’importanza di una corretta valutazione clinica.

      Novara (2017) segnala la marcata perdita dei valori educativi nell’ambito familiare e scolastico; rimarca che tale situazione, specie nei primi anni di vita, possa impostare modalità anomale di adattamento alla realtà e al sociale

      Bergman e Escalona (2017) confermano la possibilità di sensibilità insolite (visive, uditive, tattili, cenestesiche, propriocettive, olfattive, gustative) che sembravano avere un effetto particolare in alcuni bambini nei primi anni di vita.

      Nomata-Uematsu ed altri (2018) hanno riscontrato con sintomi di tipo autistico bambini con precoce e prolungato uso di cellulare e TV, situazioni che hanno creato difficoltà di assegnazione diagnostica a un disturbo di tipo autistico o ad altro disturbo.

      Vallino D. (2019) include i genitori nel suo intervento con il bambino che ha chiamato consultazione partecipata

      Con il lockdowun (anni 2020-2021) per il Covid-19, Russo R.C. ha riscontrato un notevole aumento dell’uso del tablet, cellulare e TV rispetto agli anni precedenti anche nel primo anno di vita a 4-5 mesi; in alcuni casi la tv era sempre accesa e a disposizione del bambino.  L’uso precoce e prolungato di questi dispositivi ha creato costantemente problemi: ritardo della manipolazione conoscitiva degli oggetti, ritardo del linguaggio e carenze di rapporto con l’adulto. 

      Benedetti G. (2020) rimarca l’importanza di conoscere in modo approfondito lo sviluppo del bambino, ignorando spesso che le difficoltà dell’ambiente familiare possano determinare ritardi o deviazioni evolutive tali da essere interpretati come sindromi autistiche. 

      Russo R.C., Russo S. (2022) nella loro ricerca hanno evidenziato l’importanza, specie nei primi tre anni, di differenziare le manifestazioni dello Stress Evolutivo rispetto alle forme strutturate di spettro autistico. 

      Da quanto sopra riportato, oltre ai fattori organici e ambientali che possono creare difficoltà alla comunicazione, non vanno sottovalutate alcune carenze o ritardi nell’organizzazione funzionale motoria, visiva, uditiva, percettiva, spesso poco identificabili dai familiari. Tali difficoltà possono portare ad un disturbo degli strumenti conoscitivi della realtà e della comunicazione, fattori che se perdurano possono strutturarsi in seguito verso una sindrome di tipo autistico. 

      Nelle diverse carenze o disfunzioni, l’ambiente (famiglia, società e sanità) dovrebbe essere nelle condizioni di adattare (pur nei limiti delle carenze) l’apporto sanitario, educativo e di stimoli orientati alla necessità di sviluppo del bambino.

 

Epidemiologia

L’epidemiologia dell’autismo ha dato riscontri molto diversi dai primi anni di identificazione della sindrome autistica (Kanner 1943, 2 casi su 10.000) ad oggi.

      La frequenza secondo Fombonne (1995), in una analisi dei dati statistici degli anni antecedenti al 1980, varia a seconda degli autori tra circa 1/10.000 a 13/10.000, con una media del 5/10.000.

      Lotter (1966) a Londra su 78.000 bambini di età 8-10 anni evidenziò 135 casi sospette in seguito confermò la diagnosi in 35 casi con la corrispondenza del 4,5 su 10.000.

      Rutter ed altri (1999) in bambini orfani ospiti d’Istituti hanno riscontrato frequenti sintomi di tipo autistico e frequente evitamento dello sguardo. 

      Wing e Potter (2002) affermano che l’aumento di incidenza dello spettro autistico possa essere dovuto a cambiamenti dei criteri di diagnosi e a una maggiore consapevolezza dei genitori e dei professionisti; gli autori pongono un dubbio sulla realtà dell’aumento dei bambini con spettro autistico e su come varierà in futuro.

     In Inghilterra su un campione di 56946 bambini dai 9 ai 10 anni sono stati riconosciuti 116 casi di autismo ogni 10.000, pertanto oltre all'1%. (Lancet, 368, 210-215, 2006).

 

Kleinman ed altri (2008) hanno notato, in diverse ricerche condotte, che è difficile distinguere i bambini con Sindrome Autistica dai bambini con uno sviluppo globale gravemente ritardato nella fascia d’età di 2-3 anni. Gli autori hanno ipotizzato una corretta diagnosi iniziale, ma in seguito modificabile per altri fattori intervenuti con significato evolutivo, tali da far superare i sintomi di tipo autistico ed evolvere verso altri disturbi dello sviluppo (ritardo del linguaggio e/o delle funzioni psichiche superiori, disturbi del comportamento).

      Elsanbbag ed altri (2012), in una revisione epidemiologica sull’autismo a livello mondiale relativa ad una popolazione complessiva di oltre 20.000.000 bambini in 26 nazioni, hanno riscontrato una frequenza di autismo estremamente variabile su campioni di 10.000 casi (da 0,7 a 189, con una media di 62).

      Waterhouse (2012, 2014) ha affermato nel suo libro che l’autismo non dovrebbe essere considerato una patologia definita, ma un complesso di sintomi sostenuto da cause diverse.

      Hansen, Schendel e Parner (2015) tramite un’indagine su 677.915 bambini danesi seguiti per 10 anni hanno riscontrato che l’aumento delle diagnosi di autismo negli ultimi anni è in parte attribuibile ai cambiamenti nelle modalità di valutazione ed è anche sovrastimato rispetto al reale.

     Dai dati sopra riportati è da ritenere che tale aumento possa essere sostenuto da diversi fattori: da reale aumento per facilitazione dei processi distorcivi da cause ambientali, da errori diagnostici per l’uso di test in fascia d’età 2-4 anni e assenza di valutazione osservativa dinamica in attività ludiche, da nuove possibilità di evidenziare carenze nell’organizzazione funzionale motoria, visiva, uditiva, percettiva. Questa notevole variabilità della frequenza delle diagnosi di autismo ritengo sia plausibile per l’eccessiva frequenza di scarsa valutazione della storia evolutiva del bambino che includa eventi particolari, per carenza di una osservazione del comportamento in situazioni consone all’età del bambino, per applicazione solo di test (ADOS e similari) non ritenibili adeguati in età precoci.


Classificazione nosografica

Oltre alla diversa genesi, si riscontra negli anni una confusione nell'uso dei termini: decenni addietro il termine preferito era psicosi, attualmente si parla quasi esclusivamente di autismo e in seguito di spettro autistico. Il DSM5 e l'ICD10 menzionano il gruppo «sindromi dello spettro autistico» o «sindromi da alterazione pervasiva dello sviluppo». 

     A tutt'oggi la controversia tra genesi organica e relazionale di queste sindromi risulta un campo ancora soggetto a nuove modifiche valutative e relative impostazioni. Questi contrasti di impostazioni hanno molta importanza in quanto la valutazione e l’analisi delle cause influenzerà l'approccio terapeutico che coinvolgerà metodiche diverse a seconda dei fattori eziopatogenetici che hanno determinato le sindromi.


Sintomatologia e eziopatogenesi

Nell'osservare i bambini affetti da sindrome dello spettro autistico i sintomi evidenziabili sono numerosi, variamente espressi e commisti: disturbo della relazione, difficoltà ad imitare l'adulto, emozionalità inadeguata alla situazione, uso bizzarro del corpo, disturbi dell'oralità, attività auto-stimolatorie, sguardo sfuggente, assenza di gesti anticipatori, carenza di adattamenti intenzionali al corpo dell'altro, mancanza d'immaginazione, uso peculiare degli oggetti, resistenza al cambiamento, particolarità delle risposte visive e uditive, anomalie o assenza della comunicazione verbale e/o, corporea, uniformità delle prestazioni intellettive. Alcuni comportamenti risultano particolarmente evidenti e significativi: l'ansia, l'intolleranza alle modifiche rispetto ad una propria realtà, il rifiuto dei modelli evolutivi, l'assenza di gratificazione nel rapporto corporeo con le figure di riferimento, il disinteresse per i coetanei, l'intolleranza alle frustrazioni, il rifiuto delle regole comunitarie. Questi comportamenti sono variamente presenti e più o meno prevalenti nei diversi individui, ma comunicano in modo evidente l'insoddisfazione e il malessere nel rapporto con l'ambiente o l'incapacità a trovare una linea di comunicazione consona con la loro realtà. È come se volessero segnalare la loro impossibilità ad accettare un ambiente incoerente rispetto alle proprie caratteristiche biologiche o alle proprie necessità di aiuto e sostegno evolutivo.

La carenza della comprensione delle proprie necessità da parte dell'adulto, determina l'isolamento, l'assenza di comunicazione, il rifiuto ad accettare l'altro in qualità di individuo gratificante e di guida, il rifugio nell'oggetto feticcio, la ricerca di auto-gratificazione tramite le stereotipie, oppure induce atteggiamenti prolungati di rivalsa contro tutto e tutti (spesso anche contro sé stesso) con manifestazioni aggressive, urla e rifiuti. È l'instaurarsi di una dissociazione tra le necessità dell'uno e le capacità di comprensione dell'altro; dissociazione che può essere completa (comunicazione interrotta) o parziale e anomala (comunicazione distorta o parziale).

     Le cause di tale dissociazione possono essere molto diverse: una organizzazione neurologica con il prevalere o la carenza di alcune specifiche funzioni, un danno organico limitante lo sviluppo, una situazione genetica che riduce le potenzialità evolutive, una condizione ambientale sfavorevole, modelli evolutivi inadeguati. Anche se le cause della dissociazione nel rapporto tra l'individuo in evoluzione e l'adulto in qualità di modello, possono essere molteplici, il malessere del bambino appare essere la risultante più significativa del rapporto tra le due parti.

     Una disfunzione nell'organizzazione funzionale di alcune strutture del sistema nervoso centrale potrebbero impostare un prevalere o una distorsione di una funzione rispetto alle altre, creando una modalità anomala di recepire, differenziare ed elaborare gli stimoli ambientali e propri difficilmente comprensibile alle figure di riferimento evolutivo. In tal caso l'eventuale strutturazione autistica sarebbe imputabile non alle carenze funzionali, ma alla difficoltà di comprendere, da parte dell'ambiente, la diversa organizzazione e quindi l'incapacità di apporto di stimoli appropriati. In eguale maniera, nel caso di una organizzazione deficitaria per una sindrome da lesione organica o genetica, sussisterebbero le potenziali condizioni per un alterato rapporto di aiuto evolutivo. In tali situazioni le figure parentali, anche se potenzialmente adeguate, si troverebbero nella condizione d'impossibilità a rispondere adeguatamente ad una organizzazione neurofunzionale complessa e anomala. 

            I modelli di riferimento inadeguati tendono più frequentemente a facilitare la comparsa di comportamenti anomali nel corso del secondo anno o in età successive. In questi casi il processo terapeutico nel bambino, la comprensione del problema e il successivo miglioramento del rapporto da parte delle figure parentali, opportunamente seguite per l'aiuto affettivo-educativo, hanno chiarito le dinamiche che avevano strutturato la patologia. Il comportamento di alcune madri nel primo anno di vita di bambini che hanno strutturato una psicosi sono stati molto significativi : una madre non si avvicinava mai alla finestra col bambino in braccio per la paura di buttarlo giù; una madre aveva rifiutato il legame affettivo a causa dell'enorme sofferenza per la morte di un precedente figlio all'età di otto mesi; una madre aveva rifiutato la gravidanza negandone l'evidenza e successivamente si era comportata con il figlio con le stesse modalità di rifiuto ad un rapporto affettivamente significativo; in una coppia genitoriale si era organizzata una marcata inversione dei ruoli; un'altra madre pretendeva con modalità ossessiva che il bambino affrontasse tutte le esperienze solo secondo quello che lei riteneva valido, negando così l'autenticità e l'autonomia del figlio.

 

Psicodinamica e analisi dei dati

Elencate le diverse impostazioni teoriche, le variabili eziologiche e la pluralità e diversità dei quadri clinici, risulta indispensabile una attenta e competente analisi dei dati della storia evolutiva e delle modalità comportamentali in atto. Anche se molte possono essere le variabili del quadro clinico, appare identificabile un denominatore comune: l'incapacità di aggancio alla nuova vita o il sentirsi incompleto, confuso e non soccorso per le proprie problematiche di rapporto con l'ambiente. Un corretto inizio di terapia dipende dalla possibilità di conoscere i particolari della storia evolutiva, i tempi e le modalità delle acquisizioni, gli stimoli dell'ambiente e le risposte del bambino, il tipo prevalente di comunicazione dei propri bisogni, l'uso del linguaggio codificato, le modalità di assunzione degli alimenti, il ritmo del sonno-veglia, le funzioni sfinteriche, le variabili del livello di emozionalità in rapporto alle situazioni, l'uso prevalente di canali informativi, il tipo di organizzazione dei processi attentivi, le motivazioni ad agire, le resistenze ai cambiamenti, la presenza di strategie per superare le difficoltà, le modalità di uso del proprio corpo, il tipo di organizzazione delle funzioni vitali, l'organizzazione delle attività motorie, i meccanismi difensivi, l'interesse per l'imitazione, le modalità d'uso dell’immaginario (se presente). Tutti questi fattori strutturano la modalità d’essere del bambino. 

      Sarà inoltre fondamentale conoscere il diverso comportamento nel percorso evolutivo, le dinamiche nel rapporto con l'altro, il momento di comparsa della sintomatologia che ha determinato la segnalazione e la possibilità di riconoscere eventuali segnali precoci di disturbo, occasionali eventi di significato stressante, eventuali deleghe di cura e tutele del bambino ad altre persone. È necessaria una paziente e competente identificazione dei fattori d'ipotesi causale, delle modalità del percorso evolutivo, del riconoscimento delle motivazioni ad agire e delle eventuali funzioni emergenti. 

      Tutto quanto sopra menzionato costituisce il processo eziopatogenetico. La comparsa dei primi segnali di anomalia evolutiva necessita di un periodo di latenza che può essere molto breve o richiedere qualche anno (autismo atipico, psicosi disintegrative, disarmonie psicotiche). A volte i fattori a potenziale strutturazione autistica permangono latenti per molti anni (struttura borderline della personalità) con la possibilità di esplodere improvvisamente nell'adolescenza o nell'età adulta a seguito di fattori intercorrenti.

 

Terapia 

La prima domanda che dobbiamo porci è "Quale è il bisogno del bambino con sintomi di tipo autistico che funzioni da leva per la conquista di un nuovo percorso evolutivo?" La risposta a questa difficile domanda è situata nel percorso dell'organizzazione patologica che man mano si è strutturata a partire da alcune necessità evolutive che non hanno trovato risposta o si sono confrontate con situazioni ambientali inadeguate alle loro potenzialità. È la ricerca degli obiettivi terapeutici sottesi dalla o dalle problematiche di organizzazione neurofunzionale e di affermazione del sé che man mano si sono sviluppate. Una fine analisi dei dati sopra menzionati e della storia evolutiva del bambino ci permetterà di identificare gli obiettivi, ma permane il dubbio sulla validità della priorità e della sequenza di affronto terapeutico dei medesimi e quale riflesso possa avere nell'ambiente familiare e sociale la progressiva elaborazione e sviluppo delle tematiche nel setting.

      I diversi casi clinici trattati e quelli che ho seguito come supervisore, mi hanno quasi sempre confermato fin dall'inizio la validità degli obiettivi identificati, ma mi hanno reso consapevole sulla necessità di attendere il giusto segnale dato dal bambino sulla priorità di affronto di una tematica rispetto alle altre. Il potenziale percorso terapeutico viene progressivamente tracciato dal bambino, anche se con salti e ritorni tra le diverse problematiche; sarà importante riuscire a cogliere questi significati, entrare in sintonia con i suoi vissuti e seguire il filo conduttore della sua ristrutturazione evolutiva. Risulta pertanto necessaria una strategia d'impostazione terapeutica che permetta di limitare il rischio di un inizio errato già nei primi approcci. Questo rischio può essere evitato da un'impostazione del setting terapeutico favorevole a permettere al bambino di esprimere la sua fondamentale problematica e da sistematico periodico uso della supervisione.

      Proprio per la necessità di permettere al bambino di ripercorrere alcune fasi evolutive nelle quali si è strutturata la patologia, risulta necessario un tipo di approccio di rispetto alle necessità di elaborazione concreta delle esperienze e di una modalità comunicativa di adeguata sintonia con il vissuto del bambino. La terapia psicomotoria permette un approccio dell'agito a mediazione corporea.

      Fondamentale il supporto ai genitori e ad altre figure che si occupano del bambino (nonni, baby sitter, ecc..) che contempli: un aspetto di accoglienza della problematica parentale e relativa sofferenza, la scoperta di nuove possibilità di rapporto affettivo, un aiuto per il nuovo processo educativo e la collaborazione a costruire una nuova organizzazione e conduzione del nucleo familiare. Se frequenta un nido o una scuola sarà inoltre indispensabile una collaborazione con le figure assistenziali e scolastiche.

 

Entro il 2023 uscirà il libro: Russo Roberto Carlo Stress evolutivo o evoluzione autistica?

 

 

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